Detartrasi: le domande più frequenti

Detartrasi: le domande più frequenti
La detartrasi, anche nota come “ablazione del tartaro” o “pulizia dei denti”, è una pratica odontoiatrica di notevole importanza nella prevenzione di disturbi come carie e gengivite e di patologie come la parodontite. Sebbene sia ormai da tempo parte dell’igiene orale professionale di routine, la detartrasi è spesso oggetto di domande. Di seguito, qualche risposta alle più comuni.
 

La detartrasi fa male? 

La detartrasi non è dolorosa. Il paziente potrebbe percepire una sensazione lievemente fastidiosa durante la procedura: ciò dipende dal livello di incrostazione sulla superficie dentale o dalla sensibilità dentinale, che in alcuni casi potrebbe richiedere la somministrazione di anestesia locale. 


Detartrasi: ogni quanto si deve fare?

La procedura è molto semplice ed è altrettanto importante svolgerla con regolarità. In condizioni standard è consigliabile sottoporsi a detartrasi ogni 6 mesi o quantomeno una volta all’anno, se invece il paziente è già affetto da patologie del cavo orale, la detartrasi dovrebbe essere eseguita ogni 3 mesi. La frequenza deve essere personalizzata a seconda delle esigenze e della situazione del singolo paziente: l’accumulo di tartaro può infatti variare molto da persona a persona sulla base della quantità di saliva e della qualità dell’igiene quotidiana.
 

Detartrasi: dopo quanto si può mangiare?

Dopo la detartrasi si può mangiare e bere, anche se è meglio attendere almeno 30 minuti. Inoltre, è bene evitare cibi e bevande ricchi di zuccheri o sostanze pigmentate (come ad esempio caffè, tè e bibite zuccherate). 


Si può fumare dopo la detartrasi?

Posto che l’abitudine del fumo non aiuta il benessere dei denti, così come la salute generale, è auspicabile non fumare per almeno 2 ore dopo la detartrasi.
 

Cosa succede dopo l’intervento?

È piuttosto comune un lieve sanguinamento delle gengive dopo la detartrasi, ma si tratta di un fenomeno passeggero, a cui si può dare sollievo usando nell’immediato dentifricio e collutorio per denti sensibili o risciacquando la bocca con acqua e sale o acqua e olii essenziali lenitivi. Proprio come il sanguinamento, può presentarsi anche dolore dopo la detartrasi, soprattutto se le incrostazioni hanno richiesto molto lavoro per essere eliminate. È importante che il paziente porti avanti una rigorosa igiene dentale in modo da alleviare questi disturbi. La sensazione di sentire i denti ruvidi dopo la detartrasi è dovuta alla rimozione del tartaro dalla superficie dentale e dagli spazi interdentali: lo smalto è quindi rivelato nella sua reale condizione e in alcuni casi risulta eroso, rendendo necessaria una visita specialistica. 
 

Si può eseguire la detartrasi in gravidanza?

A meno che non sussistano condizioni mediche specifiche, la detartrasi in gravidanza non pone controindicazioni e anzi può agevolare la gestione delle eventuali infiammazioni gengivali dovute ad alterazioni ormonali. L’accortezza principale da mettere in pratica è l’attesa del momento giusto: è consigliabile sottoporsi al trattamento al termine del primo trimestre di gestazione, ovvero il periodo più delicato. 


Detartrasi ed endocardite

Anche se si tratta di un’associazione mentale non immediata, bisogna sempre ricordare che il cavo orale è anche la sede d’ingresso elettiva dei batteri. Ecco perché i pazienti a rischio di sviluppo di endocardite seguono una profilassi antibiotica prima della detartrasi, sulla base della valutazione del medico.


Si può unire la detartrasi ad altri trattamenti?

Assolutamente sì e in alcuni casi è consigliato. Ad esempio, è possibile combinare detartrasi e sbiancamento, soprattutto se i denti risultano ingialliti a causa del fumo oppure se lo smalto è ormai caratterizzato da macchie che non possono essere rimosse durante una semplice pulizia. Lo stesso vale per detartrasi e levigatura radicolare: quest’ultima consiste nella rimozione dei depositi mineralizzati dalle radici e parti di dentina o cemento dentale. La superficie delle radici ne risulta così liscia e resistente, dunque non l’ambiente ideale per l’accumulo dei batteri della placca.  
 
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